Il potere disciplinare, funzionalmente collegato col potere direttivo esercitato dall’imprenditore, concorre evidentemente a caratterizzare la subordinazione ed interviene in caso di inadempimento o inesatto adempimento da parte del lavoratore.
La responsabilità disciplinare, oggetto di specifica regolamentazione e che trova la sua fonte nella legge e nella contrattazione collettiva, in effetti interviene non solo in caso di mancato o inesatto adempimento della prestazione ma anche dall’inosservanza dei doveri di fedeltà e di diligenza (artt. 2104 – 2105 codice civile).
Nella previsione del codice civile, “il potere direttivo, considerato, dall’ordinamento corporativo, espressione della posizione di supremazia ed autorità riconosciuta all’imprenditore”, non era sottoposto a limiti procedimentali rigorosi; ma certo, anche allora, il potere datoriale “era assoggettato, in teoria, ai limiti derivanti dai principi generali di buona fede e correttezza (artt. 1175 e 1375 Cod. Civ.)”.
La legge 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei Lavoratori), in rispettosa coerenza con i principi costituzionali, anche al fine di tutelare la libertà e la dignità del lavoratore, interveniva a limitare il potere disciplinare (art.7), prevedendo la applicazione delle sanzioni, sempre nel rispetto della proporzionalità della gravità della infrazione, all’esito di un puntuale procedimento, caratterizzato da un ampio potere di difesa del lavoratore.
Infatti, com’è fin troppo noto, la norma indicata vieta al datore di lavoro di applicare sanzioni disciplinari al lavoratore senza una previa contestazione scritta e senza "averlo sentito a sua difesa"; il successivo comma 5 precisa inoltre che il provvedimento disciplinare più grave del rimprovero verbale non può intervenire "prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa".
La giurisprudenza della Suprema Corte si è ripetutamente confrontata con il tema delle modalità di articolazione del diritto di difesa del lavoratore, in presenza di contestazione di addebito e su come l’esercizio di tale diritto interferisca con il termine di cinque giorni di cui al richiamato comma 5, in relazione alla possibile preclusione per la parte datoriale all’adozione del provvedimento disciplinare.
Un più risalente indirizzo interpretativo già riteneva rimessa al lavoratore la scelta dei modi e delle forme attraverso le quali esercitare le proprie difese.
Secondo tale orientamento, ove il lavoratore, pur avendo presentato giustificazioni scritte, “chieda contestualmente di essere sentito anche oralmente a propria discolpa, il datore di lavoro è tenuto a dare luogo a tale audizione” atteso che, come pur puntualizzato da uno specifico precedente, la tempestiva presentazione di “giustificazioni scritte” non consuma l'esercizio del diritto di difesa del lavoratore, salvo che lo scritto non contenga alcuna richiesta di audizione.
Alcune pronunzie successive, tuttavia con argomentazioni poco convincenti e che si discostano dalla chiara lettura della norma, pur non negando la possibilità di audizione orale del lavoratore che, avendo presentato giustificazioni scritte, chieda di essere sentito oralmente, avevano ritenuto l'accoglimento di tale istanza condizionato alla non esaustività e completezza di tali giustificazioni e riconosciuto alla parte datoriale la possibilità di un sindacato in tal senso.
Senza che però si possa ravvisare, nella lettura della norma, una tale condizione.
In particolare, secondo il giudice di legittimità, il datore di lavoro sarebbe obbligato a dar seguito a tale richiesta solo allorquando la stessa risponda ad effettive esigenze di difesa non altrimenti tutelabili e non quando, invece, la richiesta appaia dettata da fini meramente dilatori o sia stata avanzata in modo equivoco, generico o immotivato ovvero emerga, anche in base alla condotta tenuta dal lavoratore, che la sua difesa si è già esercitata esaustivamente attraverso giustificazioni scritte non suscettibili, per la loro compiutezza, di essere completate o solo convalidate da nuove e significative circostanze, spettando comunque al giudice di merito stabilire in concreto, attraverso un compiuto esame dei fatti di causa e dei comportamenti delle parti nonché in ragione dei principi di correttezza e buona fede, se nella singola fattispecie si sia o meno verificata una concreta violazione del diritto di difesa dell'incolpato.
Né viene chiarito, se non con una incomprensibile valutazione rimessa al datore di lavoro (che la disposizione non riconosce), secondo quale apprezzamento lo stesso dovrebbe ritenere il carattere meramente dilatorio della richiesta.
In tale ordine argomentativo, si pone anche altra decisione della Cassazione, secondo la quale l'obbligo del datore di lavoro di dar seguito alla richiesta del lavoratore “sussiste solo ove la stessa risponda ad esigenze di difesa non altrimenti tutelabili”, in quanto non sia stata possibile la piena realizzazione della garanzia apprestata dalla legge; con ciò legittimando la ingerenza nelle scelte di difesa del lavoratore il quale viene privato della possibilità della audizione orale (anche con eventuale assistenza del rappresentante sindacale) che potrebbe, al contrario, offrire una completa difesa.
Diverso, ovviamente, il caso della richiesta di audizione dopo la scadenza del termine concesso a difesa.
In effetti, la presentazione di ulteriori difese dopo la scadenza del tempo massimo deve essere consentita solo nell'ipotesi in cui entro questo termine il lavoratore non sia stato in grado di presentare compiutamente la propria confutazione dell'addebito e la valutazione di questo presupposto va operata alla stregua dei principi di correttezza e buona fede che devono regolare l'esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro.
Successivi arresti hanno poi determinato il superamento dell’indirizzo sopra richiamato, escludendo che la richiesta di audizione orale formulata dal lavoratore, che aveva presentato giustificazioni scritte, potesse essere sindacata dalla parte datoriale sotto il profillo della sua rispondenza ad effettive esigenze difensive.
Infatti, è stato escluso che il datore di lavoro, che intenda adottare una sanzione disciplinare nei confronti del dipendente, possa omettere l’audizione del lavoratore incolpato che ne abbia fatto espressa ed inequivocabile richiesta contestualmente alla comunicazione - nel termine di cui all'art. 7, quinto comma, della legge 20 maggio 1970 n. 300 - di giustificazioni scritte, anche se queste appaiano già di per sé ampie ed esaustive.
In questa prospettiva è stato ancor più esplicitamente chiarito che le garanzie apprestare dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970 per consentire all'incolpato di esporre le proprie difese in relazione al comportamento addebitatogli non comportano per il datore di lavoro un dovere autonomo di convocazione del dipendente per l'audizione orale, ma solo un obbligo correlato alla richiesta del lavoratore di essere sentito di persona, sicché le giustificazioni rese dall'incolpato per iscritto consumano il suo diritto di difesa solo quando dalla dichiarazione scritta emerga la rinuncia ad essere sentito o quando la richiesta appaia, sulla base delle circostanze del caso, ambigua o priva di univocità: al di fuori di tali ipotesi, un sindacato del datore di lavoro in ordine all'effettiva idoneità difensiva della richiesta di audizione orale non può ritenersi consentito neppure alla stregua dell'obbligo delle parti di conformare la propria condotta a buona fede e lealtà contrattuale, il quale può assumere rilievo, ai fini della valutazione in ordine all'ambiguità della richiesta, ma non consente di dare ingresso ad una valutazione di compatibilità della facoltà di audizione esercitata dal lavoratore incolpato alla luce delle difese già svolte e della sua idoneità ad utilmente integrare queste ultime.
In base a tale condivisibile indirizzo, quindi, la specifica garanzia dell'audizione orale, una volta che l'espressa richiesta sia stata formulata dal lavoratore, costituisce indefettibile presupposto procedurale che legittima l'adozione della sanzione disciplinare; ciò anche nell'ipotesi in cui il lavoratore, contestualmente alla richiesta di audizione a difesa, abbia comunicato al datore di lavoro giustificazioni scritte; le quali, per il solo fatto che si accompagnino alla richiesta di audizione, sono ritenute dal lavoratore stesso non esaustive e destinate ad integrarsi con le giustificazioni che il lavoratore stesso eventualmente aggiunga o precisi in sede di audizione.
Vale pure osservare che il diritto del lavoratore che ne faccia richiesta, pur in presenza di giustificazioni scritte, di essere sentito oralmente dal datore di lavoro, è in astratto destinato ad interferire con la previsione comma 5 dell'art. 7 legge n. 300 del 1970 secondo la quale il provvedimento disciplinare più grave del rimprovero verbale non può intervenire "prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa".
A riguardo la giurisprudenza della Cassazione è consolidata nell'affermare che il termine di cinque giorni dalla contestazione dell'addebito, prima della cui scadenza è preclusa, ai sensi dell'art. 7, quinto comma, della legge n. 300 del 1970, la possibilità di irrogazione della sanzione disciplinare, è funzionale soltanto ad esigenze di tutela dell'incolpato, mentre deve escludersi, in difetto di qualsiasi dato testuale, che la previsione di tale spazio temporale sia stata ispirata anche dall'intento di consentire al datore di lavoro un'effettiva ponderazione in ordine al provvedimento da adottare ed un possibile ripensamento. In base a tale considerazione, a composizione di un contrasto insorto nell'ambito della sezione lavoro, le Sezioni Unite hanno pure affermato che il provvedimento disciplinare può essere legittimamente irrogato anche prima della scadenza del termine suddetto allorché il lavoratore abbia esercitato pienamente il proprio diritto di difesa facendo pervenire al datore di lavoro le proprie giustificazioni, senza manifestare alcuna esplicita riserva di ulteriori produzioni documentali o motivazioni difensive.
Non si pone in contrasto con la giurisprudenza ora richiamata la pronunzia del giudice di legittimità la quale, escluso che il decorso del termine di cinque giorni dalla contestazione concesso al lavoratore, per la esplicitazione delle proprie difese, determini la decadenza dalla facoltà per il lavoratore di chiedere l'audizione a difesa, ha ritenuto illegittima la sanzione disciplinare comminata, ignorando la richiesta presentata oltre detto termine ma prima dell'adozione del provvedimento disciplinare.
Ed, infatti, l'indirizzo sopra richiamato si limita a riconoscere al datore di lavoro una mera facoltà di adottare il provvedimento disciplinare anche prima del decorso dei cinque giorni, ove il lavoratore abbia già formulato le proprie difese, senza che ciò implichi, sul piano logico prima che giuridico, la configurazione di una decadenza a carico del lavoratore dalla possibilità di ulteriore esercizio del diritto di difesa.
Insomma, in assenza di elementi di segno contrario desumibili dal dato testuale dell'art. 7, legge n. 300 del 1970 cit. ed in particolare dai commi 2 e 5, al lavoratore deve essere riconosciuta la possibilità di piena esplicazione del diritto di difesa e, quindi, anche la possibilità, dopo avere presentato giustificazioni scritte senza formulare alcuna richiesta di audizione orale, di maturare "un ripensamento" circa la maggiore adeguatezza difensiva della rappresentazione (anche) orale (e con la assistenza del rappresentante sindacale) degli elementi di discolpa.
Al datore di lavoro è precluso ogni sindacato, anche sotto il profilo della conformità e correttezza a buona fede, della condotta del dipendente con riferimento alla necessità o opportunità della richiesta integrazione difensiva essendo la relativa valutazione rimessa in via esclusiva al lavoratore.
Né sussistono ragioni per limitare l'ampiezza di esplicazione del diritto di difesa, che il legislatore ha volutamente preordinato alla tutela di interessi fondamentali del lavoratore (specie ove si consideri che l'esercizio del potere disciplinare può comportare anche l'adozione della sanzione espulsiva), in assenza di un apprezzabile interesse contrario della parte datoriale, la quale riceve comunque adeguata tutela dalla stringente cadenza temporale che regola il procedimento disciplinare.
Per completezza di trattazione è pur utile richiamare un puntuale intervento della Corte d’appello di Roma per cui, proprio con riferimento all’esercizio del diritto di difesa del lavoratore, e ben valorizzando il senso della richiesta di audizione a discolpa, precisa che detta fase non può essere considerata come meramente formale del procedimento disciplinare “essendo espressione del legittimo intento del lavoratore di mutare il previsto esito del procedimento medesimo in senso a sé più favorevole, tanto più in quanto assistito da un rappresentante sindacale”.
Per di più, nel caso preso in esame dalla Corte di appello di Roma il rapporto non poteva “… validamente interrompersi in pendenza di malattia dunque alcun nocumento sarebbe derivato alla società dall’attendere il ristabilirsi del ricorrente”.
La decisione richiamata, in linea con un autorevole orientamento del giudice di legittimità, conferma che “ove il lavoratore chieda il differimento della audizione orale, suffragato dalla produzione di idonea documentazione medica, il datore di lavoro non può ritenersi autorizzato ad omettere la convocazione”.
Ed infatti, l’art. 7 della L. n. 300 del 1970 prescrive, come garanzia procedimentale in favore del lavoratore al quale il datore di lavoro intenda applicare una sanzione disciplinare, che quest'ultimo non possa adottare alcun provvedimento disciplinare non solo senza aver preventivamente contestato l'addebito al lavoratore, ma anche "senza averlo sentito a sua difesa".
La giurisprudenza di legittimità, per come ricordato, ha ripetutamente affermato che questa specifica garanzia (la previa audizione a difesa) opera non già indistintamente, ma solo se il lavoratore abbia espressamente chiesto di essere sentito.
E, una volta che l'espressa richiesta sia stata formulata in modo univoco dal lavoratore, la sua previa audizione costituisce in ogni caso indefettibile presupposto procedurale, anche nell'ipotesi in cui il lavoratore, contestualmente alla richiesta di audizione a difesa, abbia comunicato al datore di lavoro giustificazioni scritte; le quali, per il solo fatto che si accompagnino alla richiesta di audizione, sono ritenute dal lavoratore stesso non esaustive e destinate ad integrarsi con le giustificazioni che il lavoratore stesso eventualmente aggiunga o precisi in sede di audizione.
Insomma, "il datore di lavoro, il quale intenda adottare una sanzione disciplinare, non può omettere l'audizione del lavoratore incolpato ove quest'ultimo ne abbia fatto richiesta espressa contestualmente alla comunicazione, nel termine di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 5, di giustificazioni scritte, anche se queste siano ampie e potenzialmente esaustive".
La decisione, appena richiamata, conferma altro precedente del giudice di legittimità che riconosceva le esigenze di tutela del lavoratore che, “proprio a causa del suo stato di salute, non sia adeguatamente in grado di avvalersi della facoltà di fornire le sue giustificazioni a seguito di una contestazione disciplinare …”.
Invero, ove il dipendente chieda tempestivamente il differimento dell'audizione, attestando un impedimento per motivi di salute, suffragato dalla produzione di idonea certificazione medica, “il datore di lavoro non può ritenersi autorizzato ad omettere la convocazione dovendo, al contrario, consentirla alla cessazione dello stato di malattia del lavoratore”.
Né possono diversamente rilevare, gli strumenti alternativi di difesa cui potrebbe accedere il lavoratore impossibilitato ad espletare la pur richiesta audizione orale posto che come ha pur evidenziato la Suprema Corte, con la sentenza richiamata, è pur vero che è in facoltà del lavoratore esercitare il suo diritto di difesa nella più completa libertà di forme, anche per iscritto o mediante l'assistenza di un rappresentate dell'associazione sindacale cui aderisca o conferisca mandato, ma lo stato di malattia non solo non può incidere sulla facoltà di scelta delle modalità di esercizio del diritto di difesa inducendo il lavoratore alla delega necessitata a terzi della propria difesa, ma potrebbe, invero, precludere, proprio a cagione delle peculiari condizioni di salute, la stessa possibilità di dare ad altri adeguata contezza delle proprie ragioni di difesa.
La indicata decisione della Corte d’appello Romana è stata confermata in parte qua, dalla Suprema Corte che ha autorevolmente statuito : “Sono, invece, infondate le censure riguardanti l'accertata incapacità del lavoratore a rendere giustificazioni ed il mancato assolvimento dell'onere della prova, …, circa il nesso tra la specifica incapacità e la possibilità di esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa, perché le argomentazioni dei giudici di seconde cure sono conformi all'orientamento di legittimità che ha statuito che, nell'ipotesi in cui il dipendente chieda tempestivamente il differimento dell'audizione, attestando un impedimento per motivi di salute, suffragato dalla produzione di idonea certificazione medica, il datore non può ritenersi autorizzato ad omettere la convocazione dovendo, al contrario, consentirla alla cessazione dello stato di malattia del lavoratore”.
Non possiamo che concludere, conformemente alla riportata decisione della Suprema Corte che non vi sono ragioni per limitare l'ampiezza di esplicazione del diritto di difesa, che il legislatore ha volutamente “preordinato alla tutela di interessi fondamentali del lavoratore (specie ove si consideri che l'esercizio del potere disciplinare può comportare anche l'adozione della sanzione espulsiva), in assenza di un apprezzabile interesse contrario della parte datoriale, la quale riceve comunque adeguata tutela dalla stringente cadenza temporale che regola il procedimento disciplinare”.
Prof. Avv. Ottavio Pannone
Contributo in corso di pubblicazione, completo di note, su "Il Diritto del Mercato del Lavoro”, diretta da Francesco Santoni, ESI EDITORE