Per la Cassazione il fatto contestato al lavoratore era compatibile con la malattia e non aveva comportato alcun aggravamento della patologia.
Il dipendente può assentarsi dalla propria abitazione e persino svolgere un altro lavoro in costanza di assenza per malattia. Lo svolgimento di altra attività, se compatibile con la malattia, e purché non comporti alcun aggravamento della patologia né alcun ritardo nella ripresa del lavoro, non determina infatti una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.
Conseguentemente, al lavoratore licenziato può spettare la reintegra sul posto di lavoro per insussistenza del fatto contestato.
Questo quanto affermato dalla Cassazione con sentenza n.3655/2019, che ha confermato la pronuncia della Corte di Appello di L’Aquila.
Nel caso di specie, il dipendente N.R. impugnava il licenziamento disciplinare intimato dalla società S. a seguito di procedimento disciplinare; in particolare, si contestava al lavoratore una simulazione della malattia poiché la sera dell’ultimo giorno di malattia era stato visto, dalle ore 20 alle ore 22, presso il ristorante della moglie mentre provvedeva alla preparazione di pizze.
Ebbene, sia il Tribunale di Lanciano, sia la Corte di Appello di L’Aquila, hanno considerato il fatto contestato privo del carattere di antigiuridicità e compatibile con lo stato di malattia denunciata dal dipendente, equiparandolo alla insussistenza materiale. Né era emerso che il lavoratore, nella giornata indicata, avesse posto in essere attività fisiche idonee ad aggravare la patologia della quale era affetto, con conseguente reintegra per il lavoratore licenziato.
Pertanto, per la Suprema Corte il fatto in esame è stato correttamente valutato dai giudici della Corte di Appello poiché relativo a sole due ore della sera dell’ultimo giorno di malattia, compatibile con la rinofaringite denunciata e non comportante alcun aggravio della guarigione o ritardo del rientro sul posto di lavoro.
La Corte di Cassazione ha quindi condiviso la sentenza della Corte di Appello di l’Aquila che aveva applicato la tutela reintegratoria, seguendo l’orientamento consolidato secondo cui l’insussistenza del fatto contestato comprende anche l’ipotesi del fatto verificatosi ma privo del carattere di illiceità.
In conclusione, il comportamento del dipendente in malattia può giustificare un licenziamento per giusta causa se è incompatibile con la malattia dichiarata e pregiudizievole per la guarigione; in questi casi l’atteggiamento del lavoratore può essere considerato contrario ai doveri generali di correttezza e buona fede ed agli obblighi contrattuali di diligenza, potendo così compromettere il vincolo fiduciario con il datore e giustificando il licenziamento.
Avv. Marco Pannone