Sicuramente, tra i problemi che affliggono i nostri tempi, spicca, sempre con maggior forza, i temi dell'alcolismo e della tossicodipendenza che, ovviamente, comportano gravissime e serie conseguenze anche dal punto di vista del rapporto di lavoro.
Ed è il caso di segnalare una recente sentenza del Tribunale di Milano (sezione lavoro del 30 settembre 2014 n. 2761) laddove, proprio nel caso di un lavoro tossicodipendente, il Giudice disattende le richieste del lavoratore, osservando che "parte ricorrente fonda le proprie domande e le proprie conclusioni sulla sussistenza di un provvedimento di destituzione asseritamente adottato dalla resistente in data 1.12.2012, fattispecie questa inconfigurabile nel caso di specie visto che (omissis), in pari data, formulava nei confronti del lavoratore un "opinamento della destituzione dal servizio" che sarebbe divenuto "definitivo ed esecutivo" in caso di mancanza presentazione di giustificazioni da parte del ricorrente; che il predetto provvedimento veniva revocato dalla resistente a seguito della presentazione di certificazione medica da parte di (omissis) con sua conseguente collocazione in aspettativa non retribuita per un periodo massimo di tre anni a decorrere dal 1.12.2012 e con archiviazione dei procedimenti disciplinari fino ad allora avviati nei suoi confronti (v. doc. di parte ricorrente)".
Nel caso di specie, come osserva il Tribunale, parte resistente operava in conformità al dettato normativo (art. 124 d.p.r. n. 309/1990) richiamato e condiviso dallo stesso ricorrente (v. pag.del ricorso) che nel proprio atto difensivo si limitava a contestare la legittimità di un provvedimento espulsivo senza sollevare specifiche censure sull'atto conservativo adottato in concreto dalla resistente.
Anche il contenuto della documentazione sanitaria allegata dal ricorrente alla raccomandata del 19.2.2013 conferma la legittimità del provvedimento in esame attestando la presa in carico del lavoratore presso la Asl di Milano e la "proficuità" "della frequentazione del paziente al servizio" (v. doc. di parte ricorrente), circostanze queste ostative ad una proficua ripresa del servizio da parte del ricorrente a discapito della frequentazione del programma di recupero in oggetto.
Quanto fin qui esposto è assorbente, secondo la decisione in commento, rispetto all'esame delle restanti istanze ed eccezioni delle parti tenuto altresì conto che la previsione contenuta nell'art. 24 comma 7 RD 148/1931 veniva derogata all'art. 4 punto 1 accordo collettivo del 19.1.2006, sicchè su tali presupposti il Giudicante rigettava il ricorso presentato dal lavoratore.
Per completezza è il caso di ricordare che, secondo la previsione del testo unico delle leggi in materia (DPR 309/1990) degli stupefacenti, sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, viene stabilito che "I lavoratori di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza, i quali intendono accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi sanitari delle unità sanitarie locali o di altre strutture terapeutico-riabilitative e socio-assistenziali, se assunti a tempo indeterminato hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per il tempo in cui la sospensione delle prestazioni lavorative è dovuta all'esecuzione del trattamento riabilitativo e, comunque, per un periodo non superiore a tre anni. 2. I contratti collettivi di lavoro e gli accordi di lavoro per il pubblico impiego possono determinare specifiche modalità per l'esercizio della facoltà di cui al comma 1. Salvo più favorevole disciplina contrattuale, l'assenza di lungo periodo per il trattamento terapeutico-riabilitativo è considerata, ai fini normativi, economici e previdenziali, come l'aspettativa senza assegni degli impiegati civili dello Stato e situazioni equiparate. I lavoratori, familiari di un tossicodipendente, possono a loro volta essere posti, a domanda, in aspettativa senza assegni per concorrere al programma terapeutico e socio-riabilitativo del tossicodipendente qualora il servizio per le tossicodipendenze ne attesti la necessità. 3. Per la sostituzione dei lavoratori di cui al comma 1 è consentito il ricorso all'assunzione a tempo determinato, ai sensi dell'articolo 1, secondo comma, lettera b), della legge 18 aprile 1962, n. 230. Nell'ambito del pubblico impiego i contratti a tempo determinato non possono avere una durata superiore ad un anno. 4. Sono fatte salve le disposizioni vigenti che richiedono il possesso di particolari requisiti psico-fisici e attitudinali per l'accesso all'impiego, nonchè quelle che, per il personale delle Forze armate e di polizia, per quello che riveste la qualità di agente di pubblica sicurezza e per quello cui si applicano i limiti previsti dall'articolo 2 della legge 13 dicembre 1986, n. 874, disciplinano la sospensione e la destituzione dal servizio (art.124).
Dunque il nostro ordinamento si preoccupa di equilibrare i contrapposti diritti, pur costituzionalmente garantiti, tra il diritto alla salute del lavoratore di poter seguire un programma riabilitativo ed il diritto del datore di lavoro, quale gestore del rapporto di lavoro, di ottenere la piena prestazione lavorativa senza esporre a pericoli il lavoratore stesso ed i suoi colleghi.
Sempre per completezza, è pur utile richiamare un provvedimento del Tribunale di Brindisi del 25 marzo 2009 che, in sede cautelare, rigettava il reclamo proposto da un ex autista tossicodipendente dipendente di una società di trasporti pubblici, che era stato licenziato per superamento del periodo di comporto, affermando "il diritto alla conservazione del posto di lavoro a favore dei lavoratori tossicodipendenti, nel limite temporale fissato dall'art. 124 del d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, presuppone la conoscenza da parte del datore di lavoro dello stato soggettivo in cui versa il lavoratore, in difetto della quale deve ritenersi legittimo il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto di malattia stabilito dal c.c.n.l. applicato al rapporto di lavoro". E, nel caso di specie, a sostegno della illegittimità del licenziamento irrogatogli, il ricorrente aveva dedotto la mancata applicazione automatica (ossia senza alcun onere di comunicazione al datore di lavoro circa lo stato soggettivo di tossicodipendenza) da parte dell'azienda della speciale disciplina di favore prevista dall'art. 124, 1° comma del d.p.r. 9.10.1990 n. 309 secondo il quale "i lavoratori di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza, i quali intendono accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi sanitari delle unità sanitarie locali o di altre strutture terapeutico-riabilitative e socio-assistenziali, se assunti a tempo indeterminato hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per il tempo in cui la sospensione delle prestazioni lavorative è dovuta all'esecuzione del trattamento riabilitativo e, comunque, per un periodo non superiore a tre anni" in luogo di quella contemplata e di fatto applicata nei suoi confronti dall'art. 1, 3° comma dell'accordo sulla malattia autoferrotranvieri del 19.9.2005, che invece prevede un periodo di comporto pari a 18 mesi.
In sintesi i lavoratori a tempo indeterminato di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza, che intendono accedere a programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi sanitari delle Asl o di altre strutture terapeutico riabilitative e socio-assistenziali, hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per l'intero periodo del trattamento riabilitativo, in ogni caso per un massimo di 3 anni. E, per quanto stabilito dalla norma richiamata, i contratti e gli accordi collettivi possono dettare regole di dettaglio per la concessione dell'aspettativa che, in ogni caso,sempre fatte salve eventuali disposizioni più favorevoli, per il lavoratore, non dà diritto né alla retribuzione né all'accredito della contribuzione previdenziale.
Analogamente i lavoratori familiari di un tossicodipendente possono essere collocati, a domanda, in aspettativa senza retribuzione per concorrere al programma terapeutico e socio- riabilitativo del tossicodipendente qualora il servizio per le tossicodipendenze ne attesti la necessità.
In conclusione, la semplice dipendenza da sostanze stupefacenti non è di per sé sufficiente a legittimare il recesso dal contratto, essendo necessario accertare di volta in volta la condotta del dipendente e la sua idoneità a ledere definitivamente il rapporto fiduciario (Cassazione 26 maggio 2011 n. 7192).
Per i giudici di legittimità, con la motivazione ricordata, appare "del tutto incongruo il richiamo, contenuto nel ricorso all'art. 2087 cod. civ. "sia perché lo stato di salute psichica del ricorrente in nessun modo è ricollegabile all'attività lavorativa, e, quindi, ai doveri incombenti sul datore di lavoro per quanto riguarda l'integrità psico-fisica dei propri dipendenti, sia perché, in ogni caso questi stessi doveri, essendo posti non solo a tutela del singolo lavoratore, ma anche dell'intera comunità di lavoro, comportano anche l'obbligo del datore di lavoro di prevenire o rimuovere tutte le cause di pericolo di grave turbamento dell'attività o dell'ambiente di lavoro derivanti da comportamenti violenti o comunque dannosi posti in essere da uno dei dipendenti".Avv. Ottavio PannoneContributo pubblicato su diritto24.com