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In caso di trasferimento d'azienda, alla contrattazione collettiva non è consentito incidere su posizioni già consolidate o su diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori, in assenza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte degli stessi.

Tale principio non trova applicazione nella diversa ipotesi in cui il contratto collettivo venga ad incidere su condizioni non ancora qualificabili come di diritto soggettivo, ma sia volto soltanto a regolare le condizioni di acquisto dei diritti futuri (ad esempio: salario non maturato, contingenza non ancora scattata) venendosi in questo caso a porre solo un problema di successione di contratti di diverso livello.
In altre parole è consentito parlare di diritto quesito, a fronte del quale vige la regola dell'intangibilità nei termini innanzi indicati, solo allorquando si configuri una situazione che sia entrata a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, in funzione di corrispettivo di una prestazione già resa e nell'ambito, quindi, di un rapporto o di una fase già esauriti e non invece in presenza di situazioni future o di fattispecie in via di consolidamento, di frequente prospettazione nel contratto di lavoro, da cui scaturisce un rapporto di durata con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa, autonome tra loro e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in ragione della disciplina pattizia vigente al momento in cui vengono spiegate.
Questo è quanto statuito dalla Corte di appello di Campobasso, sezione lavoro (sentenza dell'11 luglio 2014, Pres. Pupilella; G. Paolitto, rel.), in un giudizio avente ad oggetto una richiesta in materia di riconoscimento di assegno ad personam.
Nella vicenda esaminata la società datrice opponeva i decreti ingiuntivi concessi dal Tribunale di Campobasso ai ricorrenti lavoratori per il pagamento dell'assegno ad personam che, già contemplato nell'accordo aziendale stipulato con l'allora datrice di lavoro, e ancora contemplato dalla subentrata, la stessa non aveva più corrisposto, sul dichiarato presupposto che tale indennità non fosse più dovuta in ragione della sostituzione del proprio contratto, contenente un trattamento economico complessivamente più favorevole.
Il Tribunale di Campobasso, accoglieva le suddette opposizioni, e revocava i decreti ingiuntivi opposti, fondando la decisione, a fronte di incontestato rilievo delle mutate, ma in termini migliorativi, precedenti condizioni aziendali, sulla sostanziale modificabilità dei trattamenti economici e normativi, nelle ipotesi di trasferimento disciplinate dall'art. 2112 cc, ad opera di contratti di medesimo livello, nonché sulla insussitenza del preteso diritto di irriducibilità della retribuzione nel senso restrittivo inteso dai ricorrenti in sede monitoria.
Avverso la suddetta sentenza proponevano appello i dipendenti insistendo perché, accertata l'illegittimità della riduzione unilaterale della retribuzione relativamente all'assegno ad personam non assorbibile in questione, le opposizioni fossero tutte rigettate, con la conseguente condanna della società appellata al pagamento delle somme richieste, maggiorato di interessi, rivalutazioni e spese.
Costituitasi in giudizio la appellata società, la stessa insisteva perché la sentenza impugnata fosse integralmente confermata.
In effetti, per quanto si legge in atti, parte appellante censurava la sentenza impugnata per insufficiente, contraddittoria e, comunque, erronea motivazione deducendo, a motivi: violazione e falsa applicazione del disposto di cui all'art. 2112 cod. civ., in relazione all'accordo aziendale sottoscritto, per illegittimo esercizio unilaterale delle condizioni contrattuali da parte datoriale; violazione e falsa applicazione del disposto di cui all'art. 2103 cod. civ. per lesione del principio di irriducibilità della retribuzione; violazione e falsa applicazione dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto.
Ma dette argomentazioni venivano rigettate dal giudice del gravame che, richiamato un precedente indirizzo, rilevava che la vicenda in esame "si iscrive, a pieno titolo, nell'ambito dell'istituto del trasferimento d'azienda disciplinato dall'art. 2112 Cod. Civ. (norma richiamata anche dall'art. 15 CCNL 4 novembre 2005 prodotto in primo grado dalla società), interpretato alla luce dell'art. 2077 Cod. Civ.".
A tal fine, la Corte, con la segnalata motivazione, ricorda che, per stessa deduzione degli appellanti, l'assegno in questione fu riconosciuto in base ad un accordo integrativo aziendale che si applicava indistintamente a tutti i lavoratori in servizio alla data della stipula dell'accordo stesso.
Sul piano delle fonti l'accordo integrativo aziendale ha la stessa natura ed efficacia del contratto collettivo nazionale; le sue disposizioni, pertanto, "non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo dei sindacati, ma (salva l'ipotesi di loro ricezione ad opera del contratto individuale) operano dall'esterno sui singoli rapporti di lavoro, come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché, nell'ipotesi di successione di contratti collettivi, le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 cod. civ.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale, restando la conservazione di quel trattamento affidata all'autonomia contrattuale delle parti collettive stipulanti, che possono prevederla con apposita clausola di salvaguardia, la verifica della cui esistenza, con relativa indagine interpretativa, è riservata al giudice del merito; le parti collettive, inoltre, ben possono, con successiva pattuizione, accertare il contenuto di un precedente contratto collettivo o, comunque, risolvere, sul piano transattivo, con efficacia vincolante anche per i lavoratori rappresentati, un eventuale contrasto interpretativo relativamente al contratto precedente" (Cassazione, sezione lavoro, n. 16691 del 24/08/2004; nello stesso senso anche Cassazione, sezione lavoro, n. 21234 del 10/10/2007).
Il giudice del gravame ricorda, quindi, che l'assegno ad personam di che trattasi non costituisce oggetto di un diritto quesito, osservando che la Suprema Corte ha più volte ribadito che "il principio per cui alla contrattazione collettiva non è consentito incidere, in relazione alla regola della intangibilità dei diritti quesiti, su posizioni già consolidate o su diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori - in assenza di uno specifico mandato, o di una successiva ratifica da parte degli stessi - non trova applicazione nella diversa ipotesi in cui il contratto collettivo venga ad incidere su condizioni non ancora qualificabili come di diritto soggettivo, ma sia volto soltanto a regolare le condizioni di acquisto dei diritti futuri (ad esempio: salario non maturato, contingenza non ancora scattata) venendosi in questo caso a porre solo un problema di successione di contratti di diverso livello" (cfr. ex plurimis: Cassazione, sezione lavoro, 17 marzo 1999 n. 2429; Cassazione, sezione lavoro, 23 luglio 1994 n. 6845; Cassazione, sezione lavoro, 11 novembre 1988 n. 6116).
Per la Corte "è consentito, inoltre, parlare di diritto quesito, a fronte del quale vige la regola dell'intangibilità nei termini innanzi indicati, solo allorquando si configuri una situazione che sia entrata a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, in funzione di corrispettivo di una prestazione già resa e nell'ambito, quindi, di un rapporto o di una fase già esauriti (cfr. al riguardo Cass. 28 novembre 1992 n. 12751), e non invece in presenza di situazioni future o di fattispecie in via di consolidamento, di frequente prospettazione nel contratto di lavoro, da cui scaturisce un rapporto di durata con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa, autonome tra e suscettibili come tali di essere differentemente regolate - in caso di successione di contratti collettivi - in ragione della disciplina pattizia vigente al momento in cui vengono spiegate" (così, in motivazione, Sez. L., Sentenza n. 1576 del 12/02/2000 in un caso in cui i ricorrenti avevano, tra gli altri motivi, denunziato l'errata interpretazione delle norme contrattuali, violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 36 Cost., per avere il contratto aziendale ridotto la retribuzione precedentemente goduta dai funzionari e loro "garantita" come intangibile. Nel rigettare il ricorso la S.C. ha affermato i principi sopra riportati; nello stesso senso anche Sez. L, Sentenza n. 20838 del 29/09/2009 che, in applicazione dello stesso principio, ha cassato la sentenza impugnata che aveva riconosciuto al lavoratore differenze retributive sulla base di una componente fissa della retribuzione, soppressa dalla contrattazione aziendale). Avuto riguardo alla fonte del diritto di credito azionato (accordo integrativo aziendale e non contratto individuale) ed alla sua natura (diritto non quesito), si può ora esaminare la vicenda alla luce dell'art. 2112 Cod. Civ. che indiscutibilmente la disciplina.
Orbene, non v'è alcun dubbio che, in applicazione del 3 comma dell'articolo in questione, il contratto collettivo applicato dalla società datrice potesse sostituirsi integralmente al precedente accordo integrativo aziendale, trattandosi, come visto in precedenza, di fonti del medesimo livello.
Come recentemente statuito "l'incorporazione di una società in un'altra è assimilabile al trasferimento d'azienda di cui all'art. 2112 cod. civ., con la conseguente applicazione del principio statuito dalla citata norma secondo il quale ai lavoratori che passano alle dipendenze dell'impresa incorporante si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l'azienda cedente solamente nel caso in cui l'impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo, mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva dell'impresa cedente è sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata nell'impresa cessionaria anche se più sfavorevole, la cui incidenza non è preclusa rispetto a coloro che non abbiano ancora maturato i requisiti per l'attribuzione di un diritto previsti dalle precedenti disposizioni collettive" (Cassazione, sezione lavoro, n. 10614 del 13/05/2011; sul punto v. anche Cassazione, sezione lavoro, 5 giugno 2013 n. 14208; Cassazione, sezione lavoro, 15 settembre 2014 n. 19396).
E proprio in base a quanto confermato dalla giurisprudenza richiamata è pur utile ricordare, per mera completezza, che "E' opinione seguita, oltre che in dottrina anche in giurisprudenza, che alle parti sociali e' consentito, in virtù del principio generale dell'autonomia negoziale di cui all'articolo 1322 cod. civ., prorogare l'efficacia dei contratti collettivi, modificare, anche in senso peggiorativo, i pregressi inquadramenti e le pregresse retribuzioni - fermi restando i diritti quesiti dei lavoratori sulla base della precedente contrattazione collettiva - nonché disporre in ordine alla prevalenza da attribuire, nella disciplina dei rapporti di lavoro, ad una clausola del contratto collettivo nazionale o del contratto aziendale, con possibile concorrenza delle due discipline. La concorrenza delle due discipline, nazionale e aziendale, non rientrando nella disposizione recata dall'articolo 2077 cod. civ., va risolta tenuto conto dei limiti di efficacia connessi alla natura dei contratti stipulati, atteso che il contratto collettivo nazionale di diritto comune estende la sua efficacia nei confronti di tutti gli iscritti, nell'ambito del territorio nazionale, alle organizzazioni stipulanti e il contratto collettivo aziendale estende, invece, la sua efficacia, a tutti gli iscritti o non iscritti alle organizzazioni stipulanti, purché svolgenti l'attività lavorativa nell'ambito dell'azienda. I lavoratori ai quali si applicano i contratti collettivi aziendali possono, pertanto, giovarsi delle clausole dei contratti collettivi nazionali se risultano iscritti alle organizzazioni sindacali che hanno stipulato i relativi contratti collettivi (cfr. in tali sensi: Cass. 26 giugno 2004 n. 11939 cui adde ex plurimis: Cass. 7 giugno 2004 n 10762). E sempre con riguardo al concorso tra i diversi livelli contrattuali é stato anche precisato che detto concorso va risolto non secondo i principi della gerarchia e della specialità propria della fonte legislativa, bensì accertando quale sia l'effettiva volontà delle parti, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutti pari dignità e forza vincolante, sicché anche i contratti aziendali possono derogare in peius di contratti nazionali, senza che osti il disposto dell'articolo 2077 c.c., con la sola salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori, che non possono pertanto ricevere un trattamento deteriore in ragione della posteriore normativa contrattuale, di eguale o di diverso livello (cfr. tra le tante: Cass. 2 aprile 2001 n. 4839, cui adde, Cass. 7 febbraio 2004 n. 2362 e Cass. 18 settembre 2007 n. 19351).

Avv. Ottavio Pannone

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