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Cass. 2 maggio 2018, n. 10435

La verifica del requisito della “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” concerne entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva,

l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore. La “manifesta insussistenza” va riferita ad una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei suddetti presupposti a fronte della quale il giudice può applicare la disciplina di cui al comma 4 del medesimo art. 18 ove tale regime sanzionatorio non sia eccessivamente oneroso per il datore di lavoro.

 

IL CASO

Con la sentenza che si annota la Corte di Cassazione si pronuncia, per la prima volta dopo l’entrata in vigore della l. n. 92/2012, sul controverso tema delle conseguenze sanzionatorie della violazione del c.d. obbligo di “repêchage” nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Nel caso di specie i giudici di legittimità sono stati chiamati a decidere sulla impugnazione di una sentenza della  Corte d’Appello di Bologna che, pur riconoscendo l’illegittimità del licenziamento per inottemperanza del datore di lavoro all’obbligo di repêchage, aveva escluso l’applicazione della tutela reintegratoria.

 

LE QUESTIONI GIURIDICHE E LA SOLUZIONE

Nell’ambito del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, una delle questioni più insidiose attiene senza dubbio proprio all’istituto del repêchage, ovvero al diritto al mantenimento del posto di lavoro nel caso vi sia la possibilità di ricollocare il lavoratore nell’ambito della organizzazione aziendale.

La giurisprudenza di legittimità è passata da un orientamento risalente e più rigido, che affidava al lavoratore l’onere di dedurre ed allegare in giudizio le specifiche circostanze e ragioni costituenti i presupposti di tale azione per una sua diversa utilizzazione nell’impresa (Cass. 10 maggio 2016, n. 9467; Cass. 8 agosto 2015, n. 16512; Cass. 3 marzo 2014, n. 4920; Cass. 18 settembre 2013, n. 24037; Cass. 8 novembre 2013, n. 25197; Cass. 8 febbraio 2011, n. 3040; Cass. 14 dicembre 2002, n. 17928; Cass. 16 giugno 2000, n. 8207; Cass. 3 giugno 1994 n. 5401), ad un orientamento  più flessibile che sposta in capo al datore di lavoro l’onere di provare la possibilità di una diversa utilizzazione del lavoratore nell’ambito del contesto organizzativo aziendale ogniqualvolta non esistano mansioni compatibili con la sua qualifica ed esperienza pregressa(Cass. 5 gennaio 2017, n. 160; Cass. 22 marzo 2016, n. 5592; Cass. 5 marzo 2015, n. 2015).

In linea con tale più recente interpretazione (Cass. 13 giugno 2016, n. 12101; Cass. 11 ottobre 2016, n. 20436; Cass. 5 gennaio 2017, n. 160; Cass. 19 aprile 2017, n. 9869; Cass. 20 ottobre 2017, n. 24882; Cass. 22 novembre 2017, n. 27792), nella pronuncia in epigrafe la Suprema Corte, confermando quanto già sancito dalla Corte territoriale, ha ritenuto che il datore non avesse adeguatamente dimostrato a quali mansioni si riferissero le assunzioni effettuate nei mesi successivi al licenziamento della lavoratrice. I giudici di legittimità, dunque, deducendo che la lavoratrice era stata licenziata senza che fosse verificata la possibilità di rimpiego, hanno riscontrato l’ingiustificatezza del licenziamento per inottemperanza del datore di lavoro all’obbligo di repêchage; ed invero, l’opzione ermeneutica che configura a carico del lavoratore l’onere di segnalare una sua possibilità di riallocazione nell’ambito dell’assetto organizzativo aziendale, non appare coerente con la lettera e la ratio che sorregge l’art. 5 L. n. 604/66. Tale norma è assolutamente chiara nel porre a carico del datore di lavoro l’onere della prova, che non si limita evidentemente alla dimostrazione della effettiva e non pretestuosa soppressione del posto di lavoro, ma ricomprende anche la necessità di dimostrare l’impossibilità del repêchage, quale criterio di integrazione delle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, con esclusione di ogni incombenza, anche solo in via mediata, a carico del lavoratore.

Il ragionamento della Corte muove da una nozione di giustificato motivo oggettivo“complessiva”, nella quale rientrerebbe sia l’esigenza della soppressione del posto di lavoro sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore. In questa prospettiva il riferimento legislativo alla “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”contenuto nell’art. 18 della c.d. Riforma Fornero andrebbe ricondotto ad entrambe le condizioni, con la conseguenza che, ove si accerti l’illegittimità del licenziamento per carenza anche di una sola delle stesse, il giudice di merito, ai fini dell’individuazione del trattamento sanzionatorio, dovrà verificare se tale insussistenza sia evidente e manifesta.  Del resto, la ratio della norma consiste proprio nella necessità di riconoscere il diritto alla tutela reintegratoria solo in ipotesi residuali limitate alla evidente pretestuosità del recesso per assenza dei presupposti giustificativi.

Su questi aspetti parte della dottrina ha ritenuto che l’obbligo di repêchage non rientrasse tra gli elementi costitutivi della fattispecie del giustificato motivo oggettivo comportando, in caso di violazione dello stesso, non la reintegrazione del lavoratore, ma solo la sanzione indennitaria di cui al comma 5 dell’art. 18, L. n. 300 del 1970, come modificata dalla L. n. 92/20012. Altri autori, invece, hanno sostenuto che il suddetto obbligosia un elemento costitutivo del giustificato motivo oggettivo e rientri pienamente nel “fatto”, la cui violazione determina quindi l’insussistenza del fatto e la conseguente reintegrazione del lavoratore.

L’obbligo di repêchage era stato proposto proprio dalla dottrina come diretta conseguenza della tesi del licenziamento extrema ratio emersa in seguito alle innovazioni risultanti dall’emanazione dello Statuto dei lavoratori. A tal proposito oltre trent’anni fa Mario Napoli aveva già individuato tra le ragioni idonee a giustificare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo solo quelle necessariamente comportanti la riduzione di personale, con la conseguenza di escludere la legittimità del recesso là dove fosse possibile il repêchage del lavoratore su altre posizioni aziendali. Sulla scia di tale risalente pensiero parte della dottrina ha sostenuto che il repêchage, attenendo alla dimensione del “fatto” organizzativo, rimane coessenziale alla valutazione della “manifesta insussistenza” del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo: se il ripescaggio è possibile, il fatto dovrebbe essere valutato come manifestamente insussistente. Infatti, qualora il repêchage venga utilmente realizzato, il “fatto” posto a base del licenziamento (cioè la soppressione del posto di lavoro) viene materialmente meno, in quanto risulta materialmente e giuridicamente assorbito nella utile ricollocazione del prestatore in altra postazione aziendale.

Una maggiore uniformità di vedute si è registrata nelle pronunce della giurisprudenza di merito la quale,considerando eccezionale la possibilità della reintegrazione, ha ritenuto che essa andrebbe irrogata solo in caso di totale difetto della ragione produttiva od organizzativa (la cui esistenza va dimostrata dal datore) o di mancata soppressione delle mansioni, riconducendo alla tutela indennitaria la mancanza degli altri “estremi” del motivo oggettivo, tra cui la verifica della possibilità del ripescaggio. Ciò in quanto l’obbligo di ricollocare il lavoratore nell’ambito dell’organizzazione aziendale sarebbe da considerarsi un elemento esterno al giustificato motivo oggettivo di licenziamento, non rientrante nel concetto di fatto la cui manifesta insussistenza, secondo quanto previsto dal co. 7 dell’art. 18, comporta l’applicazione della tutela reintegratoria di cui al co. 4.

A ben vedere, la Corte di Cassazione ha solo parzialmente confermato questo orientamento, ammettendo che ancheil mancato repêchage possa dar luogo alla reintegrazione.

Infatti, la Corte, pur ritenendo che il fatto posto a base del licenziamento per g.m.o. includa anche l’obbligo di repêchage (dunque, il fatto comprenderebbe sia la ragione produttiva od organizzativa, sia l’impossibilità di impiegare diversamente il lavoratore), statuisce che il giudice di merito, ai fini dell’individuazione del regime sanzionatorio, dovrà verificare la manifesta ossia evidente e facilmente verificabile sul piano probatorio insussistenza anche di uno solo degli elementi costitutivi del licenziamento.

In sostanza, la Suprema Corte, riconosce al giudice un forte potere discrezionale e quindi la facoltà, ai sensi dell’art. 18, co. 7, St. lav., in ipotesi di manifesta insussistenza di uno dei due requisiti sopra indicati, di imporre al datore la reintegrazione del lavoratore oppure il risarcimento del danno.

La Cassazione precisa inoltre che la scelta del regime sanzionatorio da applicare sia motivata sulla base del concetto civilistico dell’eccessiva onerosità: in particolare, il giudice di merito deve valutare se la tutela reintegratoria sia compatibile o meno con la struttura organizzativa medio tempore assunta dall’impresa.

Ove il ripristino del rapporto risulti eccessivamente oneroso, questi potrà protendere – nonostante l’accertata manifesta insussistenza di uno dei due requisiti costitutivi del licenziamento – per l’applicazione della tutela indennitaria.

Sulla scorta di tali premesse e di quanto accertato dalla Corte territoriale – che aveva ritenuto dimostrata l’esigenza di riorganizzazione aziendale in diretta connessione con i dati di bilancio negativi ma non sufficientemente assolto l’onere probatorio relativo all’obbligo di repêchage –, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della lavoratrice, confermando il diritto della stessa a vedersi riconosciuta una tutela esclusivamente indennitaria.

 

OSSERVAZIONI

La portata innovativa della pronuncia è innegabile, sebbene la stessa lasci spazio a taluni dubbi in ordine alla incerta definizione del parametro della “eccessiva onerosità”, che determina una smisurata estensione del potere discrezionale del giudice nella valutazione delle prospettive della lite.

Certamente il problema evidenziato troverà una applicazione sempre più marginale considerando che agli assunti dal 7 marzo 2015 si applica il d. lgs.  n. 23/2015, e cioè la disciplina del contratto a tutele crescenti, e che dunque per essi l’eventuale illegittimità del licenziamento per assenza del giustificato motivo oggettivo comporta sempre l’estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la condanna del datore al pagamento di un'indennità.

Tuttavia resta il fatto che la sentenza, nel far chiarezza sulla importante questione della riferibilità della “manifesta insussistenza” ai duplici presupposti della soppressione del posto e della impossibilità di assolvimento dell’obbligo di repêchage,non coglie l’occasione per superare tutte le incertezze. Residuano infatti quelle in ordine ai criteri che devono orientare il giudice di merito nel disporre discrezionalmente la reintegrazione ovvero l’indennità risarcitoria, una volta accertata la manifesta insussistenza del fatto. Almeno per gli assunti prima di quella fatidica data.

 

RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI E BIBLIOGRAFICI- Tra i contributi in materia, sul problema relativo non solo alla demarcazione degli oneri di allegazione e prova dell’impossibilità di repêchage, ma anche alle conseguenze della violazione di tale oneresi veda F. Scarpelli, La nozione e il controllo del giudice, in I licenziamenti collettiviQuad. dir. lav. rel. ind., 1997, 19, 29 e ss ; sull’obbligo di repêchage si veda G. Santoro-Passarelli, Il licenziamento per giustificato motivo e l’ambito della tutela risarcitoria, in Arg. dir. lav., 2013, 2, 236 e ss. Cfr. altresì M. Persiani, Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e obbligo di repêchage, in Giur. it, 2016, 5, 1164 ss., il quale ha affermato che l’impossibilità di repêchage rappresenta un elemento esterno al giustificato motivo e non può rientrare tra le ragioni di cui all’art. art. 3, L. n. 604/1966; si veda anche U. Carabelli, I licenziamenti per riduzione di personale in Italia, in AA.VV., I licenziamenti per riduzione del personale in Europa, Bari, 2001, 217, secondo cui il repêchage rientra nella fattispecie costitutiva del recesso per giustificato motivo oggettivo la cui violazione comporta l’illegittimità del recesso. Di avviso contrarioLNogler, La disciplina dei licenziamenti individuali nell’epoca del bilanciamento tra i principi costituzionali, in Dir. rel. ind., 2007, 29, 648 e ss…; sul repêchage quale elemento del “fatto” si veda A. Vallebona, Il repêchage fa parte del “fatto”, in Mass. giur. lav., 2013, 11, 750; cfr. anche A. Perulli, Fatto e valutazione giuridica del fatto nella nuova disciplina dell’art. 18 Stat. Lav. ratio ed aporie dei concetti normativi, in Arg. dir. lav., 2012, 4-5, 787 e ss., secondo cui il controllo della possibilità di utilizzazione aliunde rientri nell’ambito dell’accertamento della sussistenza del fatto; sulla violazione dell’obbligo di repêchage che comporta l’applicazione della tutela reintegratoria si veda V. Speziale, La riforma del licenziamento individuale tra diritto ed economia, in Riv. it. dir. lav,, 2012, 3, I, 563-564. Sul punto, si veda anche F. Scarpelli, Giustificato motivo di recesso e divieto di licenziamento per rifiuto della trasformazione del rapporto a tempo pieno, in Riv. it. dir. lav., 2013, 1, II, 284 e ss.; G.F. Mancini, Sub art. 18, in G. Ghezzi, G.F. Mancini, L. Montuschi, U. Romagnoli, Statuto dei diritti dei lavoratori, Roma-Bologna, 1972, p. 243; M. Napoli, La stabilità reale nel rapporto di lavoro, Milano,1980, pp. 310 ss.; F. Scarpelli, La nozione e il controllo del giudice, Quad. Dir. Lav. Rel. Ind., 1997, p 29; V. Nuzzo, La norma oltre la legge. Causali e forma del licenziamento nell’interpretazione del giudice, Satura Editrice, 2012, pp 106 ss.; V. Speziale, La riforma del licenziamento individuale tra diritto ed economia, in Riv. It. Di. Lav., 2012, 3, I, pag. 552 ss.; G. Santoro Passarelli, Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo «organizzativo»: la fattispecie, FI, 2017, I, 134.

 

Contributo pubblicato su giustiziacivile.com

Matilde Pannone

Dottore di Giurisprudenza, Facoltà di Giurisprudenza, Università della Campania Luigi Vanvitelli